Voglia di Cinema

I guerrieri della notte: tra Senofonte e la dignità dei poveri (con un tocco neorealista)

NOTA Recensione con spoiler: se non avete mai visto il film non leggere ?

“I guerrieri della notte” di Walter Hill è uno dei film più famosi della fine degli anni settanta. La storia di una gang che deve tornare a casa (in una New York dark e quasi onirica) senza il proprio capo, cacciata da tutte le altre gang della città (che la ritengono responsabile dell’omicidio del leader di tutte le gang, durante la riunione che doveva coordinare “la presa del potere” sulla città del mondo delle gang stesso) e anche alle prese con la polizia, combattendo per tutta la notte duramente (e subendo perdite), è diventata un vero cult. Sono piaciuti i costumi, le scene di azione, la storia, le musiche, alcune citazioni memorabili.

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Il film di Walter Hill però è molto più di una storia di azione e di una storia di gang. La struttura innanzitutto affonda nella cultura classica: ricorda molto infatti la storia narrata da Senofonte nell’Anabasi (un gruppo di mercenari greci al servizio di un sovrano persiano che dopo la morte del boss deve tornare a casa affrontando un viaggio lungo e molto pericoloso). C’è però una grande differenza.

Nel mondo di Walter Hill i personaggi, i guerrieri della notte, combattono per la sopravvivenza ma non hanno una patria davvero amata a cui tornare. Certamente hanno il loro territorio a Coney Island dove tornare ma come dice Swan, il leader, quando il gruppo torna finalmente a casa “che posto di m...e abbiamo combattuto tutta la notte per tornarci”. Il punto è questo. I guerrieri della notte sanno di fare una vita grama e sanno che esiste anche un mondo migliore. Sanno anche però che non è il loro e che non possono che lottare nella realtà in cui esistono, senza mai fermarsi. Lo accettano e lo fanno con molta dignità

Il concetto emerge chiaramente nella scena degli yuppies in metropolitana. Swan e la sua nuova ragazza, Mercy, incontrano un gruppo di ragazzi ricchi e ben vestiti di ritorno da una festa. Quei ragazzi vivono una vita da sogno per Swan e Mercy e lei in un momento di vanità cede e si sistema i capelli, come se uno degli yuppies potesse notare la sua bellezza. Swan la ferma: sa che non appartengono a quel mondo. Nonostante la rabbia per la sua situazione non lo fa però con amarezza: c’è più orgoglio, l’orgoglio di chi lotta tutti i giorni per sopravvivere in un mondo difficile, a differenza di uno yuppie nato nella bambagia (quando uno dei ragazzi ricchi perde un regalo per la sua ragazza Swan lo raccoglie e lo consegnerà a Mercy perché “mi incazzo quando vedo qualcosa sprecato”)

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Walter Hill, il regista, in alcune interviste ha dichiarato di avere visto i film neorealisti italiani. In effetti una similitudine per noi c’è: Hill descrive la situazione dei poveri (perché alla fine i ragazzi della gang questo sono, poveri che trovano nella gang un modo per avere una identità e tentare di uscire, per vie criminali, dalla propria situazione) senza sconti ma anche nelle difficoltà e perfino nella vita criminale c’è dignità, la dignità di chi non ha scelta e fa quello che deve per sopravvivere, non perchè provi piacere nel farlo. C’è anche speranza: alla fine del film Swan lascia intravvedere la possibilità di evadere da Coney Island e dal destino di vita difficile che lo attende in quel luogo: non sarà facile, ma “bisognerebbe andarsene per sempre”... 

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