Voglia di Cinema

Il finale di "The Irishman": una porta socchiusa sulla fine di un'era

Un pochino di spoiler! Non leggere se non avete visto il film!

Il finale di “The Irishman” è per me un pezzo di grande cinema. Martin Scorsese ci porta dove nessuno ci ha portato prima, dove nessuno ha mai osato. Di solito i gangster movie si chiudono, infatti, con la morte dei protagonisti o comunque con la fine delle loro vicende criminali, in un modo o nell’altro.

Questa volta no. Per lunghi minuti, Scorsese ci mostra il dopo. Dopo gli omicidi, la violenza, ma anche dopo il potere, dopo l’adrenalina.

Ci porta al momento in cui il protagonista è un uomo solo, vecchio, abbandonato. Tutti i personaggi della sua storia, amici e nemici, sono morti. Tutti quanti, peraltro, facendo una pessima fine, per la serie il crimine non paga!

Lui è vivo, ma è in un ospizio dove nessuno lo va mai a trovare. Tutto quello che ha fatto lo ha condotto a essere solo: non è la storia di un vincente. A prescindere dall’immoralità, infatti, le sue azioni non gli hanno portato nulla di buono: sua figlia prediletta, Peggy, nemmeno vuole parlarci con lui.

Il crimine non ha pagato, per lui e neppure per i suoi amici. Ora che è vecchio, ha paura e riflette sul peccato, su cosa ci sarà dopo. Sa che cosa ha fatto e le sue pulsioni, come la volontà di confessarsi o la frase “che uomo farebbe una telefonata del genere” dimostrano chiaramente che è sommerso dai rimorsi, eppure nega di avere qualcosa di cui pentirsi.

E’ combattuto, solo, tagliato fuori dal mondo (non sa neanche quando è Natale: il mondo va avanti senza di lui, semplicemente è irrilevante).

Quella porta socchiusa nel finale rappresenta la sua paura di “ciò che è definitivo”, che spiega quando parla della sepoltura. Vuole una porta aperta perché non si rassegna al fatto che sia tutto finito e finito in questo triste modo.

Da quella porta però non entrerà nessuno: è una porta socchiusa sul crepuscolo di un uomo e sul fallimento della sua vita criminale.

C’è di più, però. La grandezza di Scorsese sta nella sua capacità di parlarci silenziosamente di se stesso. Quella porta socchiusa ci permette di dare un ultimo sguardo anche al suo cinema: siamo agli sgoccioli della sua carriera (ovviamente non può sapere quando finirà ma sente che la fine è vicina) e lo sa, il mondo del cinema è cambiato e lo sa, non si tratteggiano più affreschi psicologici colossali come questo e come i migliori film della tradizione gangsteriana. E’ un cinema che muore, superato dagli eventi, come il protagonista di The Irishman: Scorsese ci fa dare un’occhiata e al tempo stesso ci spiega le sue paure. Come il protagonista, così per il regista: per lui è il tempo delle domande e dei bilanci, di chiedersi cosa resterà del suo cinema e se ha sbagliato, che ricordo lascia...

Nel mio caso, nessun dubbio: per fortuna che Scorsese è esistito (ed esiste ancora!)

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