Voglia di Cinema

"La guerra dei Roses": la sconsolata e nera storia della disgregazione di una coppia

“La guerra dei Roses” è un film vecchiotto ormai, eppure io lo trovo attualissimo perché racconta una storia senza tempo: è il racconto di come l’incomunicabilità possa prima mettete in crisi e poi distruggere un rapporto, per poi portare a una guerra senza confini e all’ultimo sangue. Oliver e Barbara sono una coppia apparentemente di successo. Si conoscono, si amano, costruiscono una vita solida sul piano economico, si vestono bene e sanno stare in società. Lui è un uomo in carriera tutto lavoro e affari, lei si occupa della casa che costruisce passo dopo passo, arredandola con gusto e cura, con amore. Sembrano entrambi soddisfatti del proprio ruolo, inizialmente. Quando la casa è ormai ultimata, iniziano ad emergere le crepe. Lei non è soddisfatta: lui l’ha relegata, forse inconsciamente, al ruolo di “casalinga-madre-responsabile della casa”. Non la maltratta, non la tradisce, ma le ha disegnato un ruolo mentale, forse nemmeno con “cattiveria”, convinto che a lei piacesse così dalle convenzioni sociali e dall'educazione ricevuta.  A lei così, però, non piace nemmeno un po’. La casa l’aveva tenuta impegnata, le aveva dato uno scopo, quando finisce di sistemarla si trova a fare i conti con la sua vita e i conti non tornano. 

Quello è il punto focale: le coppie per andare avanti devono riuscire a comunicare continuamente ma comunicare è una delle cose più difficili per gli esseri umani, spesso si lanciano messaggi indiretti e bisogna essere costantemente bravi nel dargli attenzione. Una fallita comunicazione è alla base del fallimento di quasi tutte le relazioni umane. Lei lancia messaggi più o meno leggibili ma lui non li coglie e dentro di lei la rabbia monta, monta, monta. Un episodio fa crollare il mondo: lui ha un infarto, si rivela un falso allarme ma lei si scopre felice di sognare una vita senza di lui. Da questo momento inizia una guerra senza quartiere in un crescendo di dispetti sempre più esagerato. Lui non riesce ad accettare il divorzio perché non riesce a capire i motivi dell’astio di lei ma paradossalmente è proprio questo che fa arrabbiare sempre più Barbara, il non capire che la vita nell’ombra di Oliver non le bastava minimamente.

Inizia una lotta senza quartiere per il controllo della casa: per lui è un modo per rispondere ai suoi dispetti ma anche per cercare in qualche modo di riconquistarla, prolungando l’agonia del rapporto e guadagnando tempo. Per lei la casa è l’unica cosa in cui ha potuto sfogare la sua voglia creativa e portargliela via sarebbe l’ultimo atto di quello che considera un marito egocentrico: non è per il bene materiale che si combattono, ma per ciò che rappresenta. Il finale è uno dei più cinici e neri che io ricordi: perfino di fronte alla fine lui, nonostante tutto, compie un gesto d’amore ma lei lo rifiuta.

Quello che lui non capisce è che è proprio il concepirla “come una cosa sua” che l’ha fatta infuriare. In più, quando l’amore si trasforma in odio, è troppo tardi: non si torna più indietro.
Lo sfacelo di dispetti della seconda parte del film sembra irreale ma prima di tutto nei divorzi se ne vedono davvero di tutti i colori ma poi ha una funzione simbolica: rappresenta, estremizzandole, le pulsioni distruttive che si scatenano quando in un rapporto resta solo la rabbia.

Leggere i segnali che manda il partner: meglio farlo, se non si vuole finire come Barbara e Oliver!

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