Cremona Magazine.
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“Fra coloro che avevano abitato la Terra nelle età fortunate - miliardi di anni prima - solo qualche pazzo o profeta avrebbe potuto immaginare il destino che attendeva il pianeta e avere una visione delle terre immobili e morte, del letto dei mari da lungo tempo prosciugato. Gli altri avrebbero dubitato sia dell'orribile cambiamento del mondo, sia dell'ombra fatale che avrebbe inghiottito la razza. Perché l'uomo si è sempre ritenuto il signore immortale delle cose naturali...”

“Finché tutti i mari” è un racconto brevissimo frutto della collaborazione fra Barlow e Lovecraft. La trama è semplice: la Terra è sempre più vicina al sole e il clima cambia diventando sempre più caldo. La civiltà umana, inizialmente fiorente, cede pezzo dopo pezzo, città dopo città, territorio dopo territorio: il caldo avanza e desertifica e l’uomo deve spostarsi per sopravvivere, fino a quando l’acqua diventerà assente ovunque nel pianeta e l’uomo si estinguerà.

Trovo molto interessante soprattutto il racconto della reazione umana: incredulità, adattamento (a lungo prova a resistere nelle città sempre più calde con tute e schermi), incapacità di percepire i cambiamenti a causa della loro lentezza (sono spalmati nei millenni, lentissimi, ogni generazione non ha cognizione di quanto perso rispetto alla precedente). Il tutto accompagnato da una costante degenerazione: piano piano l’uomo perde i mezzi tecnologici elaborati che aveva creato e diventa sempre più primitivo. La morale stessa si corrompe, fra incredulità e profezie millenaristiche.

Quando questo racconto fu scritto, sicuramente paure di questo genere erano molto meno presenti nella società. Oggi l’idea di cambiamenti climatici lenti, che piano piano distruggono la società umana nell’incredulità generale, è una paura che sicuramente scorre potente sotto la superficie della società contemporanea.