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Natura, morte, vita. C'è tutto questo ne "Il richiamo della foresta", l'opera che ha reso celebre Jack London, il suo autore, e Buck, il protagonista.

Buck, il nostro protagonista, è un cane, un incrocio fra un San Bernardo e un pastore scozzese. Cresciuto nella bambagia della vita da cane domestico, con una ricca famiglia che lo coccola, sarà strappato con l’inganno alla sua vita e gettato nel mondo del grande Nord dove conoscerà gradualmente violenza, lotta per la vita, ferocia ma anche la meraviglia della natura, lo spirito di adattamento e l’entrare in sintonia col battito del mondo.

Il libro è molto carnale: sono lunghissime le descrizioni dei corpi, anche quando sono feriti, anche quando affrontano la morte. Il senso di questa scelta non è però un voyeurismo sadico ma l’adesione al ciclo della vita e della morte: si lotta per sopravvivere costantemente, sempre a un passo dalla morte, ma proprio questo fa sentire vivi e dà sapore all’esistenza.

Chi si adatta sopravvive, ogni giorno c'è una lezione da imparare e di cui fare tesoro.

C’è qualcosa di più. Buck sente crescere dentro il richiamo della sua natura atavica, un richiamo che piano piano lo strapperà al mondo degli uomini e lo rimanderà sempre più nel mondo degli animali, il mondo a cui è sempre appartenuto anche quando non ne era consapevole.

Ci sono molti temi trattati: la natura e le sue regole, lo spirito più profondo delle creature da cui non si può scappare, l’incanto del mondo e la sua ferocia, l’amore che Buck sa mostrare per chi se lo merita.

Il tema che trovo più significativo va però oltre la lettera del testo: in questo nostro viaggio nel mondo ognuno di noi incontra difficoltà a cui si deve adattare ma c’è una spinta a farlo che è dentro di noi, un richiamo che è quel desiderio di sopravvivenza innato che sentono il lupo, il cane e anche l’uomo.

La natura ci chiama, noi rispondiamo: Buck ci indica la strada...