Bobby Sands, Francis Hughes, Raymond McCreesh, Patsy O’Hara, Joe McDonnell, Martin Hurson, Kevin Lynch, Kieran Doherty, Thomas McElwee e Michael Devine
Questi nomi dicono poco all’italiano medio, probabilmente, a parte forse Bobby Sands, ma sono ben noti in tutta Irlanda e Gran Bretagna. Sono infatti i 10 militanti dell’Ira che si immolarono per la causa dell’indipendenza irlandese, morendo letteralmente di fame in prigione.
Una vicenda drammatica, che in Italia si conosce fino a un certo punto, momento di svolta di un conflitto che ancora oggi non è appianato completamente (anche se la situazione è sicuramente meno tesa degli anni settanta e ottanta).
Andiamo con ordine. Sin dagli anni settanta il conflitto (risalente nel tempo) fra gli indipendentisti irlandesi, che volevano riunire il Nord Irlanda al resto dell’Irlanda, e il governo britannico, che non voleva cedere ma voleva invece mantenere l’unione (con il supporto degli unionisti del Nord Irlanda), si era fatto caldissimo (con l’aggiunta delle sfumature religiose a quelle politiche: cattolici vs protestanti).
Il sangue era stato sparso copiosamente: molti irlandesi erano stati uccisi dal governo britannico (particolarmente nota la strage della Bloody Sunday), a sua volta l’Ira (il braccio armato del movimento nazionalista irlandese) aveva compiuto numerosi attentati anche contro civili (da ricordare la morte di Lord Mountbatten, in quanto figura appartenente alla famiglia reale, ma anche il clamoroso attentato che aveva provocato la morte di 18 soldati britannici, un evento che aveva scosso l’opinione pubblica).
Oltre al governo britannico, in gioco c’erano anche gli unionisti (a loro volta coinvolti pesantemente nelle violenze a sostegno della permanenza del Nord Irlanda in Gran Bretagna) e Belfast aveva l’aspetto di una città in guerra con lutti e scontri frequenti.
Nel 1976 Harold Wilson, leader laburista del governo britannico, decise di inasprire la lotta per spezzare l’Ira: negli H-block, carceri speciali (a forma di H, da cui il nome) dove venivano mandati i prigionieri, fu stabilito di abolire il regime di specialità che aveva caratterizzato fino ad allora la loro situazione.
I prigionieri erano infatti considerati prigionieri politici e avevano alcuni privilegi come la possibilità di indossare abiti borghesi in prigione, invece delle uniformi carcerarie.
Può sembrare un particolare secondario ma aveva un grande valore simbolico: si trattava di stabilire se erano prigionieri politici e quindi in qualche modo legittimati alla lotta o criminali comuni.
I prigionieri si ribellarono: volevano alcuni diritti tra cui quello citato dei vestiti, l’esenzione dai lavori forzati, la possibilità di socializzare con gli altri prigionieri (invece venivano isolati), la possibilità di ricevere lettere e visite dalle famiglie.
I prigionieri decisero di attuare una singolare forma di protesta: rifiutavano le uniformi e si coprivano con le lenzuola. Questo ovviamente esponeva a disagi e anche a un clima denigratorio da parte degli altri carcerati, ma i prigionieri non mollavano. In quel momento, però, l’Ira non era molto popolare nella popolazione comune. La sua lotta veniva percepita come troppo violenta e settaria dagli stessi irlandesi indipendentisti, erano numericamente in difficoltà nel reclutamento di nuove leve per proseguire il conflitto.
I prigionieri irlandesi decisero di alzare allora il livello dello scontro, a loro volta: per protesta smisero di usare il vaso da notte presente in ogni cella. Urinavano per terra e cospargevano le pareti con le proprie feci. Ovviamente, la cosa era invivibile sia per i prigionieri che per i carcerieri.
Nel frattempo, era salita al potere in Gran Bretagna Margaret Thatcher, leader del partito conservatore, estremamente dura e intransigente in tutte le sue scelte politiche.
Di fronte al muro frapposto dal governo britannico, i prigionieri dell’Ira decisero allora di alzare ancora una volta il livello dello scontro: il 28 ottobre 1980 sette di loro iniziarono uno sciopero della fame. Per 53 giorni smisero di nutrirsi, rischiando di morire, fino a quando una trattativa segreta tra governo e prigionieri sembrò lasciar intravvedere la possibilità di un accordo favorevole agli irlandesi. Lo sciopero fu interrotto, forse troppo presto, commettendo un errore di calcolo, ma non ci fu nessun compromesso (gli irlandesi si sentirono traditi dal governo britannico).
A questo punto, ci fu la svolta. Entrò in scena Bobby Sands, leader dei prigionieri irlandesi nel carcere di Maze. Il marzo 1981 lanciò un nuovo sciopero della fame ma con nuove regole: non più tutto insieme, ma uno alla volta, i prigionieri irlandesi avrebbero scioperato fino alla morte.
Se fino a quel momento queste vicende avevano attirato l’attenzione dell’opinione pubblica, da questo momento la tensione esplose. La vicenda venne seguita con grande partecipazione mentre le violenze e le tensioni, tra omicidi e lutti, continuavano nel paese. Margaret Thatcher insisteva che i prigionieri erano criminali e come tali andavano trattati, ma l’Ira giocò una carta inattesa. Subito dopo il via allo sciopero della fame di Bobby Sands, si decide di candidarlo per una elezione suppletiva al Parlamento britannico.
Fino ad allora l’ala dura del nazionalismo irlandese si era tenuta lontana dalle elezioni, preferendo la lotta armata. Questa scelta segnava un cambio epocale e rappresentava una sfida al governo (anche rischiosa: una sconfitta elettorale avrebbe avuto il senso di una mancanza di appoggio popolare per l’Ira).
Sands non potè fare campagna elettorale ma gli uomini di Sinn Fein, il movimento politico vicino all’Ira, la fecero per lui e sia pure di poco vinse il seggio, un trauma per inglesi e unionisti (da questo momento l’importanza elettorale di Sinn Fein crescerà nel tempo).
L’elezione certificava le mutate condizioni del panorama politico, con l’Ira che era riuscita a smuovere l’opinione pubblica ottenendo sostegni e nuovi arruolamenti. Il governo britannico si diede da fare per approvare una legge che vietasse la candidatura politica ai prigionieri, ma il Sinn Fein aggirerà più avanti il problema in seguito, schierando candidati liberi ma dichiaratamente vicini ai prigionieri.
Nel frattempo, lo sciopero continuava. Il 5 maggio 1981 Bobby Sands morì. L’evento scosse il mondo intero, gli irlandesi erano riusciti a farne un caso internazionale e andarono fino in fondo.
Uno dopo l’altro, a turno, morirono in dieci, letteralmente di fame, tenendo viva l’attenzione sulla questione.
Alla fine si fermarono per l’intervento delle famiglie e anche perché gli inglesi, in difficoltà, avevano deciso di cedere qualcosa: subito dopo lo stop allo sciopero un inviato della Thatcher negoziò un nuovo compromesso che permetteva la restaurazione di alcuni diritti, fra cui la possibilità di portare gli abiti borghesi.
Ben 100000 persone participarono al funerale di Bobby Sands, segno del grande coinvolgimento popolare.
Margaret Thatcher rischiò personalmente nel 1984: un attentato durante un congresso del suo partito la lasciò indenne per miracolo (memorabile la sua freddezza, per cui era nota: dopo l’esplosione dell’ordigno, che aveva causato morti e feriti distruggendo varie parti dell’albergo, era andata avanti col suo lavoro tenendo il suo discorso anche per dimostrare che tutto andava avanti regolarmente).
Il conflitto ha vissuto altre pagine in seguito, con altri lutti, ma probabilmente nessuna significativa come quello sciopero della fame.
FONTI I giornali irlandesi e inglesi ricostruiscono la storia con dovizia di particolari nei loro archivi, la BBC resta una fonte fondamentale insieme all’Irish News