
Voglia di storia
Il viaggio negli Stati Uniti di De Gasperi: un punto di svolta nella storia italiana del dopoguerra
- Mer 20 Lug 2022
Anno 1946: la guerra Mondiale è finita ma i problemi sono tanti e tutti da risolvere. L'Italia versa in una situazione molto complicata. Il paese era alle prese con una difficile ricostruzione dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’economia aveva molti problemi, grano e carbone scarseggiavano (e non solo loro). La coalizione di governo era attraversata da forti tensioni e iniziava ad emergere quella frattura fra la Democrazia Cristiana e i suoi alleati e le forze di sinistra che caratterizzerà il quarantennio (e anche qualcosa in più) successivo. Inoltre, l’Italia doveva fare i conti col suo status di paese che aveva finito la guerra dalla parte delle potenze vincitrici ma l’aveva iniziata da nemica: una situazione non semplice, per nulla.
In questa situazione, gli Stati Uniti non avevano ancora delineato quel piano di sostegno all’Europa occidentale e di sbarramento all’avanzata delle forze filosovietiche che sarà il piano Marshall, un piano che indubbiamente ha fatto svoltare la storia di quegli anni.
In questa situazione, le forze politiche e sociali statunitensi più orientate a sostenere paesi come l’Italia (ritenuto un interesse diretto statunitense:"dobbiamo aiutarli per aiutare noi", era il concetto) fecero in modo che De Gasperi visitasse gli Stati Uniti.
Henry Luce, proprietario del Time, organizzò di proposito nel gennaio 1947 a Cleveland un importante convegno in cui diversi importanti uomini politici stranieri si espressero sul tema “Cosa vi aspettate dagli Stati Uniti?”
De Gasperi fu invitato e partì ai primi di gennaio: il viaggio divenne però la scusa per una serie di incontri con politici e leader dell’economia americana, quasi come fossero casuali (mentre erano fortemente voluti).
La missione di De Gasperi era chiara: avere dagli States dollari, carbone, grano ma anche convincere gli Stati Uniti a intensificare le relazioni amichevoli con l’Italia e iniziare a smettere di essere trattati come un paese comunque battuto militarmente ma come un alleato con tutti i crismi. Insomma, una operazione economica ma anche di marketing e di fiducia.
La figlia Maria Romana De Gasperi, che lo accompagnò, ha raccontato che il viaggio fu anche l’occasione per scoprire profonde differenze di costume con gli americani: De Gasperi fu stupito dalla grande quantità di giornalisti, decisamente superiore agli standard italiani, inoltre i giornali americani fecero grandi titoli sul fatto che i De Gasperi spegnevano la luce in camera quando uscivano dall’albergo (comportamento normalissimo per i De Gasperi e per qualsiasi altro italiano dell’epoca ma considerato strambo dai giornali americani abituati allo sfarzo dei potenti, che volevano mostrare l'abbondanza di risorse disponibili)
Il viaggio ottenne dei risultati valutabili su due piani. Sul piano economico si ottennero 100 milioni di dollari di prestito e 50 milioni di dollari a fondo perduto a titolo di risarcimento per le spese di guerra sostenute durante la permanenza americana, più una serie di altre agevolazioni economiche. In realtà era meno di quanto sperato sul piano strettamente numerico, ma sul piano morale/di immagine fu un successo: De Gasperi potè portare a casa comunque un risultato concreto, limitato ma fondamentale per un paese con i problemi dell’Italia, gli statunitensi iniziarono a guardare gli italiani in modo diverso e si crearono relazioni anche individuali fruttuose.
Nel giro di poco tempo matureranno aiuti molto più consistenti. Gli storici si dividono nella valutazione di tutte le implicazioni del viaggio ma concordano che sia stato un punto di svolta nella collocazione italiana rispetto agli Stati Uniti e al blocco occidentale.
Credo che la cosa migliore sia comunque lasciare la parola allo stesso De Gasperi. Ecco la parte finale del suo discorso pronunciato a Cleveland sul tema “cosa vi aspettate dagli Stati Uniti”:
"E allora che cosa attendiamo noi, e non noi soltanto dall'America? Prima di tutto, fiducia. Fiducia dell'America nella sua missione internazionale. Fiducia dell'America in noi. Ora che le distanze sono state dominate siamo ormai tutti divenuti vicini di casa. Durante le brevi ore del mio volo atlantico il mio pensiero riandava al viaggio di un altro italiano di Trento, mia città natale, fondata dai romani come baluardo alpino contro le invasioni dal nord. Era egli il missionario trentino, esploratore e cartografo, padre Eusebio Chini, che quasi trecento anni or sono venne in California. Il suo viaggio fu un po' più lungo del mio. Io ci ho impiegato due giorni; egli ci mise due anni. Fiducia dell'America nell'Italia. La posizione dell'Italia le da diritto alla vostra fiducia. Ciò non per le sue armi o attrezzature belliche poiché queste dovranno essere limitate; non per le posizioni strategiche, perché le sue frontiere rimangono aperte e indifese. No: la nostra politica estera deve essere una politica di indipendenza nazionale in un mondo unito, al disopra e al di là di ogni sfera di influenza. Noi chiediamo la vostra fiducia, perché la civiltà italiana ha dato in passato il suo contributo al mondo, e perché l'Italia ha oggi la volontà e la possibilità di lavorare e di contribuire alla pace e alla ricostruzione del mondo.
In secondo luogo, noi sosteniamo, e vi chiediamo di sostenere, la necessità di assicurare il pacifico adeguarsi delle attuali posizioni internazionali. La comunità delle Nazioni non può assicurare una giustizia permanente se le limitazioni e le restrizioni unilaterali vincolanti soltanto alcune Nazioni non vengano pacificamente modificate. Le Nazioni, come i singoli, debbono essere libere dal timore e dev'essere resa possibile l'eliminazione di quelle posizioni territoriali che non sono conciliabili con la realtà etnica e geografica. In terzo luogo noi ci attendiamo che gli Stati Uniti dimostrino che Nazioni finanziariamente forti debbano tendere la mano per aiutare le più deboli. Attendiamo che gli Stati Uniti si facciano iniziatori di un sistema di riduzioni tariffarie in modo che queste Nazioni più deboli possano essere aiutate da stabili rapporti commerciali. Confidiamo altresì che essi sosterranno il diritto delle Nazioni aventi eccesso di mano d'opera ad avviare i propri lavoratori ai luoghi ove vi è capacità di assorbimento. Confidiamo che le speranze dell'Italia, sia nella questione immediata della sua ricostruzione, sia nel problema a più lunga scadenza dello sviluppo di nuovi rapporti fra i vari Paesi del mondo, non si orientino invano sulla pubblica opinione di questo grande Paese.
I bisogni e le aspirazioni che io vi ho francamente prospettati, non sono solo quelli dell'Italia; sono anche quelli di molti altri Paesi e diverranno sempre più impellenti col trascorrere del tempo. Noi non dubitiamo che gli Stati Uniti, lungi dell'essere passivi, eserciteranno tutta la loro influenza per far sì che tali esigenze siano riconosciute da tutti. Una volta in un momento cruciale della vostra storia, lo spirito profetico di Lincoln indicò che soltanto una profonda fede e l’esercizio della libertà potevano salvare l’unità di questo Paese. Oggi, in un momento cruciale della storia del mondo, possa la stessa fede illuminare le Nazioni per guidarle all'unità. Possa l'Onnipotente benedire e guidare queste Nazioni come allora egli benedisse e guidò il vostro Paese"
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