Voglia di storia

La peste del 1630: origini, rimedi e impatto sulla popolazione

La peste del 1630 è ben nota a tutti: alzi la mano chi non ha letto il Manzoni (non nomino il romanzo, impossibile non conoscerne il titolo). Sul piano storico, un libro di recente uscita mi ha stimolato a scrivere questo post: si chiama “Epidemie e guerre che hanno cambiato il corso della storia” ed è scritto da due specialisti di storia militare (e non solo), Gastone Breccia (professore universitario) e Andrea Frediani (autore notissimo). Stimo entrambi e per quel poco che può contare il mio umile parere consiglio l’acquisto del libro.

I due dedicano un capitolo al collegamento fra la guerra e la diffusione della peste nel Nord Italia 1630: parlano anche nel dettaglio delle vicende militari del conflitto (ma su questo vi rimando al libro, per saperne di più), ma sottolineano soprattutto che la peste iniziò a diffondersi per la discesa nel nord Italia di militari destinati a combattere per decidere chi doveva regnare su Mantova. Come peraltro lo stesso Manzoni aveva raccontato, come raccontano molti cronisti, furono le interazioni fra i soldati e la popolazione locale a diffondere il morbo.

E’ interessante notare che le città avevano, sulla scorta delle epidemie precedenti, preso provvedimenti: Venezia ma anche altre città avevano costruito lazzaretti per isolare i malati. La stessa Venezia, scrive Charles Kenny nel suo “La danza della peste”, aveva costituito una commissione mirante a tenere controllate scorte di cibo, fognature e sepolture per verificare il rispetto delle regole igieniche. Fra parentesi, la commissione poteva arrestare e torturare chi non rispettava le regole (ci andavano giù pesante insomma, ma questo testimonia anche quanta importanza fosse assegnata alla questione).

Peraltro, queste precauzioni non bastarono: nel 1630 infatti Venezia fu travolta e Frediani e Breccia quantificano in un terzo della popolazione le vittime. Per inciso, riportano che fu un ambasciatore imperiale, cui non poteva essere negato l’accesso in città, a portare il morbo (immagino l’entusiasmo con cui sarà stato accolto dai veneziani!)

Un terzo della popolazione: quanti in effetti morivano ai tempi per una epidemia? E’ difficile quantificarlo ma i numeri, in assenza della medicina e della scienza moderna, sono sempre altissimi per noi. Cecilia Vitiello riporta nel suo “La peste a Bologna del 1630” una serie di dati, tratti da cronisti di epoca contemporanea o di poco successiva, per cui Bologna risultava avere poco più di 60000 abitanti di cui morirono in città fra i 13000 e i 24000 (a seconda delle fonti citate)

Sul tema Carlo Cipolla nel suo “Il pestifero è contagioso morbo” porta esempi concreti basati su dati raccolti da studiosi e sanitari contemporanei alle epidemie: nel 1610 Basilea perse il 26% della popolazione, nel 1631 quattro comunità della Toscana, piccoli villaggi, ebbero da un minimo del 25% di deceduti a Castel Val Cecina al 50% di Cozzile.

Piccola parentesi dedicata a Nova Lectio (chi conosce i suoi video, sa): nel 1630 a Pistoia risulta un tasso di mortalità del 3,5% mentre a Prato siamo sul solito 25% (non si capisce perché Pistoia così più fortunata di Prato!)

Cipolla avanza ipotesi ma a distanza di secoli è difficile risalire ai motivi esatti, questo dato però fa capire che la situazione locale poteva incidere e molto sul tasso di mortalità finale.

Riassumendo: le guerre portando “in giro” soldati e mescolandoli alla popolazione erano un focolaio vivente, i rimedi rudimentali (non moderni come i nostri) esistevano e avevano un senso (isolare i malati è giusto) ma non sempre bastavano, l’impatto a livello mortalità era devastante

Ps le fonti che cito (di solito le metto alla fine, stavolta ho preferito spargere nel testo) servono per farvi capire come sono arrivato a elaborare il post ma sono anche un mezzo per voi, qualora voleste approfondire: sono tutti libri interessanti scritti da studiosi preparati

Per inciso, tutti concordano sull’importanza dei progressi della scienza che ci permettono di combattere questi “avversari” in modo più efficace, anche se purtroppo continuano a far parte della storia umana in modo ricorrente

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