Voglia di storia

I cambiamenti culturali indotti dalle guerre: il caso delle sigarette negli Stati Uniti

Le guerre hanno una serie infinita di conseguenze: naturalmente portano morte e distruzione e traumi sulla popolazione interessata dal conflitto, sono però anche un veicolo di cambiamento profondo della società.

Per esempio, spesso spingono il progresso tecnologico (si cercano armi migliori, mezzi di trasporto migliori, mezzi di comunicazione migliori: spinti dalla necessità si arriva con frequenza a scovare migliorie rispetto all'esistente). Non finisce qui: le guerre hanno anche un impatto profondo sugli usi e i costumi, non solo economici.

Negli Stati Uniti di inizio novecento, per esempio, le sigarette non erano popolari. Gli statunitensi preferivano consumare il tabacco in altri modi: lo masticavano oppure fumavano sigari o pipe, ma non amavano le sigarette, i cui consumi negli Stati Uniti erano nettamente inferiori rispetto ai consumi nei principali paesi europei. Le sigarette erano fumate soprattutto da immigrati e questo particolare portava a percepirle come qualcosa di straniero, di non americano.

Erano poi attivi dei movimenti che si opponevano al consumo delle sigarette per ragioni di vario genere: movimento cristiani (si opponevano alle sigarette in quanto le ritenevano un vizio contrastante con i loro valori religiosi), movimenti che propugnavano una vita sana e senza vizi (quindi niente fumo), movimenti xenofobi.

Lucy Page Gaston aveva creato addirittura una specifica Lega anti-sigarette che nel 1901 vantava 300000 iscritti (non pochi!). Non solo: sotto la pressione di questi movimenti, una quindicina di stati della Federazione avevano approvato leggi che in vario modo ostacolavano e condannavano la produzione e il consumo di sigarette.

Per finire, nel 1914 Henry Ford (proprio lui, il celebre industriale) pubblicò un opuscolo (corposo tanto da essere diviso in alcuni volumi) dal titolo “The case against the little white slaver” (più o meno "Saggio contro il piccolo schiavista bianco", espressione gergale utilizzata per indicare le sigarette). Ford elencava una serie di motivi per cui avrebbe preferito non assumere nelle sue aziende un fumatore di sigarette.

Ebbene, in questa situazione lo scoppio della Prima Guerra mondiale rovesciò completamente la situazione. Improvvisamente, le sigarette diventavano uno strumento per alleviare le pene dei soldati e nel tempo stesso per tenerli lontani da vizi considerati peggiori come alcool e prostitute.

Le sigarette erano facili da trasportare e distribuire e sopprimevano anche l’appetito (utile in una trincea in cui il rancio comunque non è certo pantagruelico). Fumare sigarette in poco tempo passò da gesto “antiamericano” a gesto “patriottico”, grazie alla forza d’urto culturale e sociale della guerra.

Le aziende ne approfittarono con una campagna di marketing (vedi immagine) in cui la sigaretta fu associata agli sforzi dei soldati. Croce Rossa e Ymca (organizzazione cristiana per il sostegno ai giovani), che in precedenza si erano opposte al consumo di sigarette, si organizzarono e ne distribuirono grandi quantità ai soldati tramite le proprie strutture. Il governo stesso spese 80 milioni di dollari in sigarette fra aprile 1917 e maggio 1919.

La percezione di un oggetto, di un bene, fu completamente rivoluzionata in un tempo brevissimo: una guerra è un grande modificatore della società, delle sue abitudini, della sua cultura

FONTI

“The cigarette: a political history” di Sarah Milov (editore Harvard University Press)

"The case against the little white slaver" di Henry Ford

“The global diffusion of manufactured cigarettes: an analysis of eastern emulation” di Madeleine Kronovet

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